Se non fosse che la “questione” sarà nuovamente oggetto di trattativa il 25 e 26 di maggio a Bruxelles, penseremmo a una delle tante fake news confezionate ad arte.
E invece la notizia è vera e sta rimbalzando sui maggiori quotidiani europei e internazionali. A quanto sembra la nuova Pac, la politica agricola comune che entrerà in vigore a gennaio del 2023, autorizzerà la produzione e commercio dei “vini parzialmente o totalmente senza alcol” anche tra quelli di maggior pregio. E, come se non bastasse, il testo sulla “dealcolazione” prevederebbe l’aggiunta di acqua per ripristinarne il volume iniziale di liquido che viene a perdersi durante il processo di sottrazione: in pratica acqua aggiunta al vino.
La cosa grave di tutta questa storia è che una pratica enologica estrema, consentita per i vini da tavola e quelli generici, la si voglia estendere anche ai vini di qualità come i DOP e gli IGP, vini che identificano non solo una determinata zona viticola con specifici e rigorosi disciplinari di produzione, ma soprattutto tradizioni e saper fare tramandate da secoli. Non più vino derivante esclusivamente dall’uva come avviene da secoli ma da uva e aggiunta di acqua. Un po’ come avviene per le bevande zuccherate come l’aranciata: del succo d’arancia una presenza simbolica, il resto acqua, conservanti e zuccheri.
Questa brutta novità arriva peraltro in un periodo di grave crisi per il comparto vitivinicolo, depresso da una crisi senza precedenti a causa della pandemia da COVID-19 e sotto attacco a causa della proposta sempre della Comunità Europea di introdurre etichette allarmistiche per scoraggiarne il consumo perché dannoso per la salute.
Siamo assolutamente contrari a questa ennesima porcheria a danno prima di tutto dei consumatori e poi delle migliaia di vignaioli e cantine sia italiane che europee.
Riusciranno le lobby del non-vino a instaurare la “Società dei Magnaccioni” che cantava Nando Fiorini?
“Ma che ce frega, ma che ce ‘mporta se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua”.