Qualche giorno fa il patron della guida Bibenda, Franco Ricci, ci ha comunicato l’assegnazione dei 5 grappoli al Nero di Velluto annata 2012.
Per ben dieci vendemmie, dalla 2002 alla 2011, abbiamo sempre sfiorato questo traguardo fallendo in finale. Immancabilmente ci siamo sempre fermati ai 4 grappoli. Il naso, la bocca e l’occhio del degustatore-giurato ha preferito altri vini e altre cantine.
Tuttavia, abbiamo sempre accettato anche se non sempre condiviso, anno dopo anno, le valutazioni e i giudizi che non solo questa guida, ma anche molte altre, hanno dato sulle nostre etichette. In fondo, per noi vignaioli, essere su una guida è come per un cantante presentarsi a “Sanremo”: non sempre la canzone più bella è quella che vince il festival. Siamo convinti, infatti, che è il pubblico, giudice supremo, che decreta il successo o meno di una canzone come di un vino.
E allora, per i tanti che non conoscono ancora il Nero di Velluto, sveliamone la sua identità e le sue caratteristiche.
Potremmo definirlo un Negroamaro moderno “concepito” nel 1918 : infatti la sua storia inizia con la vendemmia del 2002 ma trova la fonte ispiratrice del suo nome in uno scritto del 1918 del fotografo/giornalista salentino Giuseppe Palumbo.
“Immaginavamo un vino simbolo per la nostra cantina – afferma Gianvito Rizzo, amministratore della cantina – senza però sconfinare nel protagonismo. A donarci la materia prima sarebbe stata la vigna più vecchia piantata nel 1935 e sopravvissuta alla seconda guerra mondiale e all’abbandono dell’uomo. La prima vendemmia doveva essere la 2002 e così fu. L’annata però si rivelò difficile e disastrosa: di peggiore ricordavamo solo quella del 1995”.
Fu questo “incidente” della natura che portò a modificare in corso d’opera la strategia vendemmiale della cantina e a raccogliere i migliori grappoli di negroamaro in piccole cassette di legno mono strato. Questo avrebbe consentito di fare un leggero appassimento per un periodo di 30/40 giorni per avere sia un incremento degli zuccheri che dei valori dei polifenoli e degli antociani. Il vino che se ne ottenne, circa 18 ettolitri per 2.298 bottiglie tutte numerate a mano, fu affinato in 8 barriques di secondo vino provenienti da una famosa cantina della Borgogna.
Fin qui l’aspetto puramente tecnico e materiale che ha caratterizzato la nascita di questo vino. Il seguito, cioè il suo battesimo con il nome di Nero di Velluto, è legato a uno scritto del 1918 di Giuseppe Palumbo dal titolo “La Vendemmia nel Salento” pubblicato sulla rivista milanese “Varietas” e che, presagendo un suo imminente utilizzo, qualche anno prima era stato trascritto parzialmente su un foglio di carta. “Dopo la vendemmia del 2002 (la prima) – conclude Gianvito Rizzo- ne rileggemmo il contenuto e ad un certo punto gli occhi si fermarono sulla seguente frase: ” (…) Ed a piè di ogni vite tutto è diventato nero di velluto, tutto è maturo, deliziosamente profumato”.
Quel giorno era il 7 ottobre e ufficialmente nasceva il Negroamaro Nero di Velluto.
La Vendemmia nel Salento
Giuseppe Palumbo – 1918 Varietas, Milano
Allorquando l’estate comincia a mitigare le sue caldure…
Ormai il sole nelle sue cento e più marce di fuoco ha infiltrato i suoi raggi attraverso i più folti aggrovigli di verde; ha finito col ritrovare anche i grappoli più nascosti; nulla gli è potuto sfuggire.
Ed a piè di ogni vite tutto è diventato nero di velluto, tutto è maturo, deliziosamente profumato.
Ed ecco convenire verso quelle frastagliate distese di pampini e tralci una gaia folla di campagnuoli, varia per sesso, per colore di vesti, per età, ma uniformemente svelta. Ed è provvista di panieri e di roncole.
Subito che il sole comincia a fare capolino all’orizzonte, polverizzando in oro i suoi tiepidi raggi, quella frotta multicolore si è già sperduta tra la verzura. Solo le vivaci tinte dei corpetti delle donne e le chiare giacche dei maschi rivelano la presenza degli allegri vendemmiatori. Festa di luci, d’armonie, di ricchezza, in mezzo al verde morbido, quasi vaporoso, il quale gareggia col tersissimo cielo di cobalto.
Così comincia nell’estremo lembo d’Italia la vendemmia, la tanto tipica e tradizionale raccolta del frutto di Bacco (…).
Lo stradone, oltre che dalle fonde carreggiate, è segnato da una scura scia serpeggiante: è il mosto che gocciola dagli acini compressi tra la pesante massa di grappoli. Ed un odore acuto e dolciastro tiene pregna l’aria dal vigneto al palmento, giungendo alle nari e gradita esuberanza dell’opima raccolta.